Lo stile WADO RYU
01. Caratteristiche
Il “Wado” nasce ufficialmente nel maggio del 1934, quando il Maestro Hironori Ohtsuka registra il suo stile di Karate, chiamato “Wado Ryu” (Via della Pace).
Tuttavia, il Wado Ryu affonda le sue radici nello studio del Maestro Ohtsuka in tutte le Arti Marziali; le tecniche del “Wado” risultano essere la combinazione tra le innovazioni da lui apportate ed i movimenti studiati nei preesistenti stili. In particolare, il Karate Wado Ryu è una sintesi dello Shindo Yoshin Ryu Jujitsu, uno stile di Jujitsu specializzato negli “atemi” (percosse) di cui il M° Ohtsuka era esperto, il Ryukyu Kenpo To-Te-Jutsu, nonché dello stile Shotokan studiato per alcuni anni con Gikin Funakoshi Sensei, fondatore di quest’ultimo stile.Il Karate Wado Ryu è pertanto un’Arte Marziale di origine giapponese, che reinterpreta l’antica tradizione del Budo (Via del guerriero).
In parole più semplici è un metodo di combattimento a mani nude che basa la propria efficacia sul contrattacco, nello schivare l’attacco avversario andandovi incontro. Le posizioni sono pertanto naturali e comode; si fa un uso specifico delle anche per aumentare l’esplosività ed efficacia delle tecniche.Oltre ad un ampio utilizzo delle percosse (atemi) lo stile Wado, per la sua marcata derivazione dal jujitsu sui cui si è strutturato, dà ampio risalto all’uso delle proiezioni (Nage-waza) ed alle leve articolari (kansetsu waza). Caratteristica principale dello stile Wado Ryu è la schivata (Nagashi) con spostamenti laterali (Tai sabaki) rispetto alla linea d’attacco dell’avversario, per effettuare le azioni di difesa e contrattacco in un solo tempo (sen no sen). Il Maestro Ohtsuka ha efficacemente introdotto nello stile Wado il principio di “cedevolezza/flessibilità” (ju) caratteristico del jujitsu, rifiutando il contrasto di forza con l’avversario e utilizzando le linee di minor sforzo o di evasione (nagashi), unendole al principio di circolarità delle tecniche di Aikido.
L’essenza del pensiero del fondatore dello stile si estrinseca nei Kihon Kumite (tecniche codificate eseguite con l’avversario), vale a dire una combinazione sofisticata di difesa (schivata o parata) e contrattacco (percossa, sbilanciamento o proiezione) in un solo gesto tecnico, che mette in pratica in modo esemplare il principio dell’essenzialità marziale “sei ryoku zen yo” (massimo risultato con il minimo sforzo).Per queste caratteristiche il Karate Wado Ryu è adatto a tutti, donne, adulti e bambini. Pur essendo un’arte da combattimento, tutti possono allenarsi in quanto la pratica del Wado Ryu si fonda su principi di autocontrollo e disciplina.
02. Wa-Do
Al contrario della maggior parte degli stili di karate, che sono stati sviluppati ad Okinawa, il Wado Ryu è il primo stile di karate ad essere originario del Giappone.
Il nome “Wado Ryu” deriva:
Ten, Chi, Jin, no Ri-Do ni Wa suru.
Il Kanji “Ten” significa e raffigura il cielo, il paradiso e l’aria;
il Kanji “Chi” significa e raffigura la terra e il terreno;
il Kanji “Jin” significa e raffigura l’uomo, l’umanità e gli esseri umani;
i Kanji “Ri-Do” significano e raffigurano il motivo e la verità;
il Kanji “Wa” significa e raffigura la somma di tutto, della pace e dell’armonia.
Queste definizioni sono le definizioni letterali dei kanji, ma all’interno di essi sono impliciti molti altri concetti e simboli: il mondo intero, la luce del sole, la pioggia, il raccolto dei campi e il desiderio d’amore. La frase “Ten Chi Jin no Ri-Do ni Wa suru”, unisce assieme tutti questi simboli e questi concetti a “Ten” il cielo, “Chi” la terra e “Jin” l’uomo, rappresentati come tre cerchi compresi a loro volta da un cerchio più grande denominato “Ri-Do”.
“Ri-Do” può essere usato in combinazione con qualsiasi dei tre principi di base e se questa combinazione è eseguita naturalmente con “Wa” (armonia) si crea e si rappresenta con il cerchio più grande che racchiude tutti gli altri cerchi.
03. Principi
Il Maestro Otsuka elaborò una serie di principi dinamici e di combattimento derivati dalla sua esperienza nel Jujitsu che fanno del Wadoryu un eccellente sistema di difesa personale.
Questi principi possono essere riassunti in vari punti chiave:
1. Principio della flessibilità (Ju) attraverso tecniche di evasione e schivata
2. Principio del “sei ryoku zen‘ yo” (massimo risultato con il minimo sforzo)
3. Principio del ritorno dopo una tecnica di pugno (ikite) e di calcio (ikiashi)
4. Principio del Gosen-no-sen: nello stesso momento in cui si blocca l’attacco dell’avversario si contrattacca
5. Principio del Sensen-no-te: anticipare l’attacco dell’avversario prima che avanzi per compierlo.
Principi del movimento:
1. Nagasu (lasciar correre, rapidità dell’acqua)
2. Inasu (schivare, scivolare come una goccia di rugiada)
3. Noru (avvolgere)
4. Principio dello spostamento rapido con posizioni raccolte
5. Principio di circolarità dell’Aikido
04. Il saluto
Il saluto è l’essenza del rispetto ed il rispetto è l’anima dell’arte marziale: se andasse perso, lo sarebbe anche il valore dell’arte marziale. Il Rei (in giapponese 礼) è un importante aspetto del modus vivendi orientale, è «la norma più importante della vita sociale secondo il confucianesimo»; può esser identificato con la ritualità ed in particolar modo con l’etichetta e la cortesia da cui deriva la parola reigi 礼儀 (composta dai kanji REI e GI, quest’ultimo col significato di “convenzione o obbligo sociale”). Per estensione rei ha assunto il significato di ringraziamento, saluto e – nello specifico – inchino (in giapponese keirei 敬礼).
Il rei è un concetto fondamentale per tutte le arti marziali di origine giapponese in quanto espressione della cortesia, del rispetto e della sincerità. Il rituale del saluto è semplice nella sua forma esteriore, ma molto complesso nel suo aspetto interiore; è una presa di coscienza di se stessi, dei compagni, della palestra e dell’arte che si sta per praticare e non deve mai diventare un automatismo, un’abitudine o un obbligo imposto dal maestro. Il saluto non simboleggia una superficiale manifestazione di educazione, ma un lavoro completo sulla persona: la ricerca di una migliore adesione alla via (Dō). Il praticante, attraverso il saluto, si predispone correttamente all’allenamento, che richiede pazienza, umiltà e controllo dei propri sentimenti, e dunque un lavoro disciplinato, costante e diligente. Questo è lo spirito della via marziale: l’umiltà è un atteggiamento che bisogna assumere nella vita, la prima lotta che bisogna vincere è quella contro la propria presunzione.
Il termine OSU. Nel karate giapponese il saluto è spesso accompagnato dalla parola “osu” (pronunciata oss). Nel karate tradizionale di Okinawa questo termine viene considerato inappropriato e scortese[senza fonte].
La complessità simbolica del saluto implica, in senso posturale, l’allineamento perfetto del ventre, del busto e della testa, centri, rispettivamente, della volontà, dell’emotività e dell’intelletto. La posizione del saluto è inizialmente verticale ed esprime la “via spirituale”; si inclina poi orizzontalmente, ad indicare la “via materiale”; tanto più è profondo l’inchino, tanto maggiore è il rispetto portato nei confronti di chi lo riceve. Dal punto di vista tecnico il saluto può essere collettivo o individuale, effettuato in piedi (ritsurei 立礼) o in ginocchio (zarei 座礼). Al momento di entrare nel dōjō bisogna salutare con un inchino discreto e sincero rivolto alla “sede superiore” (kamiza 上座) e lo stesso inchino deve essere eseguito ogni volta che i praticanti si pongano di fronte o eseguano un esercizio di forma (kata).
RITSUREI – saluto in piedi. Il saluto in piedi deriva dal saluto consuetudinario giapponese e viene eseguito unendo prima i talloni (le punte dei piedi aperte a poco meno di 45°), mantenendo il busto e la nuca ben eretti e portando le mani con le dita tese e serrate lungo le cosce; questa posizione va mantenuta fino a che lo stato d’animo si sia fatto calmo e consapevole, quindi si piega poi in avanti il busto ed infine si torna in posizione eretta. Molti istruttori raccomandano di non piegarsi troppo in avanti, in maniera da non far vedere la nuca alle persone che si trovano davanti: questo perché, secondo l’etichetta giapponese, piegarsi fino a quel punto viene visto come un gesto di scusa e non di saluto.
ZAREI 座礼 – saluto in posizione inginocchiata. Quando sta per cominciare la lezione gli allievi si allineano per grado (il grado più alto all’estrema destra) lungo la “sede inferiore” del dōjō (shimoza 下座) mentre il maestro è solito sedersi di fronte a loro nella “sede superiore” (kamiza). Dopo che il maestro si è seduto o dà il comando gli allievi, dal grado più alto al più basso, si siedono nella tradizionale posizione di seiza. Per mettersi correttamente in questa posizione bisogna prima piegare la gamba sinistra ruotando leggermente a destra col busto, quindi seguire con la gamba destra; gli alluci restano a contatto o si incrociano mentre i talloni, rivolti verso l’esterno, formano un incavo in cui ci si siede; la schiena è dritta e la testa eretta, le spalle sono rilassate e le mani sono appoggiate sulle cosce coi palmi in basso e le dita rivolte verso l’interno, le ginocchia sono aperte in modo naturale – generalmente distanziate da due pugni – e determinano la stabilità della postura. Il praticante deve tenere la colonna vertebrale diritta per potere respirare in modo corretto. Dalla posizione di seiza è possibile la pratica della meditazione (mokusō 黙想), seguita nel più profondo silenzio per consentire il raggiungimento dell’armonia e della concentrazione; uno degli elementi essenziali di questa cerimonia si esprime nell’immobilità fisica e nel silenzio, che permettono di spogliarsi delle proprie preoccupazioni e di farsi ricettivi agli insegnamenti impartiti dal maestro. Sempre dalla posizione di seiza è quindi eseguibile l’inchino detto keirei 敬礼. Si esegue appoggiando sul terreno di fronte a sé prima la mano sinistra e poi la destra con i palmi in basso e le dita serrate e rivolte leggermente verso l’interno, quindi si esegue un inchino in avanti senza sollevare i fianchi dall’incavo dei calcagni. Questa ritualità è il retaggio della casta dei samurai e, in caso di necessità, permetteva loro di sguainare agevolmente la spada anche da una posizione così svantaggiata; inoltre la «tradizione marziale narra che nessun guerriero degno di tal nome abbassava la testa al punto di perdere di vista le mani della persona che gli stava di fronte, esponendosi così ad un attacco improvviso ed imparabile». Alla fine di ogni inchino si torna in posizione di seiza riportando sulle cosce prima la mano destra e poi la sinistra; a conclusione dell’ultimo saluto – solitamente il reciproco – il maestro si alza ed all’ordine «kiritsu 起立» è seguito dagli allievi. In alcune palestre si torna alla posizione eretta rapidamente, con intenzione ed energia, mentre in altre lo si fa seguendo all’inverso il rituale col quale ci si è seduti. In arti marziali che prevedono l’uso di un’armatura come il kendo o il naginata-do, l’armatura viene indossata dopo il saluto rimanendo in posizione di seiza. In alcune palestre di Karate dopo il saluto vengono enunciate le cinque regole del dōjō. La filosofia racchiusa nel saluto si radica durante l’esercizio e deve estendersi a tutti gli aspetti quotidiani. Il rei offre un’occasione di riflessione ad ogni praticante circa il comportamento da tenere verso gli uomini e verso la vita.
Espressioni di saluto. Al momento del saluto gli ordini sono solitamente impartiti dall’allievo più anziano, posizionato capofila all’estrema destra degli altri allievi; tra questi vi sono delle espressioni verbali che precedono l’inchino vero e proprio e che possono variare a seconda delle circostanze:
«Shizen ni rei», il saluto rivolto al kami 神, solitamente si tratta dello spirito (o degli spiriti) protettore del dōjō, dell’altare o degli antenati; concetti chiaramente legati alla tradizione scintoista.
«Kamiza ni rei», il saluto al kamiza 上座, ossia il lato superiore del dōjō – tradizionalmente il più lontano dall’entrata – che è riservato all’altare, ai maestri e spesso agli ospiti illustri; può esser considerato un’alternativa del precedente saluto.
«Shōmen ni rei», il saluto allo shōmen 正面, ossia il lato anteriore della palestra; è un’ulteriore variante del precedente saluto e tra i tre è il saluto più diffuso.
«Shihan ni rei» o «Hanshi ni rei», i saluti al maestro superiore, altamente onorato: shihan 師範 ed in particolare hanshi 範士 son titoli speciali riservati a maestri di livello (dan) molto elevato ed esterno dalla gerarchia della scuola, che insegna nel dōjō solo in rare circostanze.
«Sensei ni rei», il saluto al maestro o ai maestri (sensei 先生).
«Shidōin ni rei» il saluto all’istruttore o agli istruttori (shidōin 指導員).
«Senpai ni rei» il saluto all’allievo più anziano (senpai 先輩), che sostituisce il maestro quando quest’ultimo non è presente.
«Otagai ni rei», il saluto reciproco (otagai お互い) che simboleggia l’unità ed esprime il rispetto che si deve agli altri.
04. Le cinture
Il colore della cintura nel Karate assume un particolare significato: ogni colore non è scelto a caso, ed esprime metaforicamente una crescita interna rapportata tra il sé, gli altri e l’universo.
Il nome giapponese per cintura è Obi e poteva essere di corda, di cotone e chi poteva permetterselo di seta.
I vari colori devono servire ad ogni praticante ad autovalutare il proprio grado di maturazione:
9° kyu (ku kyu) : il BIANCO è la purezza, l’inizio;
8° kyu (hachi kyu) e 7° kyu (shichi kyu): il GIALLO è il colore del seme che sta per germogliare, del praticante che si appresta a nascere e a crescere rigoglioso. Rappresenta quindi la speranza;
6° kyu (roku kyu) e 5° kyu (go kyu) : l’ARANCIO è il colore del fuoco, dell’aggressività che deve essere temprata, il fuoco non è mai uguale, cambia e si evolve, rappresenta la dinamicità e il continuo evolvere e mutare.
4° kyu (shi kyu) e 3° kyu (san kyu): il VERDE è la crescita della pianta, ricordando che essa non ha i sensi dell’uomo, ma apparentemente immobile percepisce ciò che la circonda, vedendo attraverso i non occhi e sentendo attraverso il non suono.
2° kyu (ni kyu): il BLU (o AZZURRO) è il cielo verso il quale si dirige la crescita, il cielo è infinito, rappresenta quindi il non avere limiti , fisicamente crescendo si incontrano limiti con la vecchiaia, ma nulla vieta allo Spirito di cresce all’infinito.
1° kyu (ichi kyu): MARRONE è il colore della terra, al quale dobbiamo sempre rimanere saldamente attaccati, la pianta affonda le radici, che ricordano il passato, ciò che si è fatto, non dimenticando ciò che si è appreso, alzando la testa verso il cielo con arroganza, rappresenta quindi l’ umilità .
dal I° dan in poi:
il NERO è il colore delle tenebre, dei turbamenti, delle distrazioni dal quale, sia durante il nostro cammino che durante la continua evoluzione, siamo fuggiti e dovremo sempre respingere. Ma il nero è anche la somma di tutti i colori (precedenti), non un livello successivo alla marrone, ma comprensivo di tutti i livelli precedenti, ora abbiamo tutti gli elementi necessari, confusi in un’unica sostanza da modellare, il tutto va perfezionato, così come la statua è già nella pietra, così togliamo le impurità giungendo a formare e realizzare noi stessi attraverso la tecnica.
Gradi dopo la cintura nera:
Si è soliti classificare i gradi della cintura nera in dan (che significa gradino) a loro volta raggruppati in categorie: ed infine di nuovo il BIANCO (la cintura nera, con il tempo, sfibrandosi torna al colore bianco) che simboleggiala la purezza definitiva, la luce che, dopo un lungo percorso, è stata faticosamente raggiunta. Il ciclo così come si è aperto, così si è chiuso. Il cerchio è perfezione.tecnica. Non una meta, ma un nuovo inizio, l’inizio di una scalata senza fine. Simboleggia la completezza.
Yudansha – Il guerriero
1° dan: grado dell’allievo che cerca la via (dopo almeno un anno dal 1° kyu);
2° dan: grado dell’allievo all’inizio della via (dopo almeno 2 anni dal 1°dan);
3° dan: grado degli allievi riconosciuti (dopo almeno 3 anni dal 2°dan);
4° dan: grado degli esperti tecnici (dopo almeno 4 anni dal 3° dan).
Kodansha – La maestria spirituale
5° dan: – renshi kokoro, grado della conoscenza (dopo almeno 5 anni dal 4° dan);
6° dan: – renshi (dopo almeno 6 anni dal 5° dan, si acquisisce per merito come i gradi successivi);
7° dan: – khioshi (dopo almeno 7 anni dal 6° dan).
Irokokoro – La maturità
8° dan: – khioshi (dopo almeno 8 anni dal 7° dan);
9° dan: – hanshi (dopo almeno 9 anni dal 8° dan);
10° dan: – hanshi (dopo almeno 10 anni dal 9° dan)